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Il nome Centocelle compare la prima volta in una lettera che Plinio il Giovane spedì al suo amico Corneliano (inizio II sec.) “Fui chiamato dal nostro principe, cioè dall’imperatore Traiano, a consiglio presso Centocelle: tale è il nome del luogo”. Fino a quel tempo quell’area non aveva assunto alcuna importanza; era considerata una stazione, rifugio o dimora, di marinai e naviganti. La spiaggia si presentava rocciosa, con piccoli bacini ed insenature che formavano come dei porticcioli in grado di dare un riparo alle imbarcazioni. “Celle” erano, detti in lingua latina, le insenature che la caratterizzavano e col numero “Cento” per indicarne una quantità consistente e indefinita. Dalla testimonianza di Plinio si deduce che il nome doveva essere anteriore a Traiano, e molto probabilmente il luogo non era in precedenza disabitato. Plinio menziona l’esistenza, sulle vicine colline, di abitanti chiamati Aquenses, popolazione già presente all’epoca in cui l’imperatore Augusto divise l’Italia in 11 distinte “regiones” (7 d.C.) in base a criteri etnici, linguistici nonché geografici (Regio I Latium et Campania, Regio II Apulia et Calabria,Regio III Lucania et Bruttii,Regio IV Samnium, Regio V Picenum, Regio VI Umbria et ager Gallicus, Regio VII Etruria, Regio VIII Aemilia, Regio IX Liguria, Regio X Venetia et Histria e Regio XI Transpadana; riferimenti presenti nell’ enciclopedica “Naturalis Historia” scritta dallo zio Plinio il Vecchio in un lungo arco temporale, oltre mezzo secolo, dal 23 al 79 d.C.). La popolazione Aquenses era raggruppata in comunità, a lungo sopravvissute, e tra i loro possedimenti territoriali era inclusa la spiaggia di Centocelle. Intorno si trovavano colonie romane e, lungo la via Aurelia, con vista sul mare, erano situate ville che i ricchi si costruivano per diporto e riposo. Perfino gli imperatori ivi l’avevano; celebre la dimora che qui fece costruire Traiano (inizio II sec.), dopo il suo ritorno dalla prima guerra dacica. Egli invitava i suoi amici, tra cui anche Plinio, il quale ebbe l’onore di ammirare la bellezza del luogo “pari alla sapienza e all’abilità dell’imperatore”. Cito testuali parole di Plinio che rivolge nella lettera indirizzata all’amico Cornelio circa la visuale da cui si poteva godere dalla villa di Traiano: “Giocondissima è la contrade, con la villa magnifica, circondata da verdissimi campi, con la veduta che si domina sul mare”. Da qui si deduce che la struttura non poteva essere ubicata sulla spiaggia o nei pressi della stessa, ma in una zona alta. Continua la descrizione della sua permanenza affermando che gli invitati occupavano i giorni tra gli affari pubblici, alternati con piacevoli trattenimenti. Lì furono decise alcune cause. Fu prima quella di Claudio Aristone, uomo di grande reputazione in Efeso, al quale furono mosse delle accuse che Traiano giudicò ingiuste e quindi fu assolto. Il giorno seguente ebbe udienza Galitta, moglie di un tribuno, accusata di adulterio con un centurione dell’esercito. Terza fu la causa degli eredi di Giulio Tirone, i quali sostenevano che il testamento era stato falsificato; essi si erano già rivolti al tribunale imperiale, nel periodo in cui Traiano combatteva nella Dacia, e i colpevoli identificati erano stati già denunciati, quindi l’imperatore rinviò ad altra udienza, dichiarando che i presunti colpevoli avrebbero dovuto fornire prova della loro innocenza, altrimenti avrebbe condannato loro come rei di calunnia. Oltre a queste occupazioni si svolgevano liete conversazioni. Ogni giorno Plinio e gli ospiti erano invitati alla mensa imperiale, preparata con frugalità. Si intrattenevano con lunghi discorsi e assistevano a giochi o a recitazione di commedie. Alla partenza ricevettero tutti dall’imperatore dei regali e, intanto, sulla spiaggia sottostante uomini lavoravano alacremente alla costruzione del nuovo porto.
Alcune informazioni sono state tratte dall’opera di Carlo Calisse “Storia di Civitavecchia”, Vol. I, Atesa Editrice, Bologna 1983, Cap.II, pp.16-19, Parte I. Foto: fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Gaio_Plinio_Cecilio_Secondo
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