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Dalle cronache del tempo risulta che i ripetuti assalti saraceni decretarono l’allontanamento degli abitanti di Centocelle dalla propria terra natia e che essi vi fecero ritorno, collaborando, successivamente, all’edificazione di “Civitavecchia”; fino a quel momento devastata e completamente abbandonata a sè stessa. Il Calisse, a tal proposito, in una nota in calce tende a precisare che “il nome di Centocelle fu conservato alla Diocesi, e fu quello ufficiale per tutti gli atti in latino. Civitavecchia fu il nome proprio che ebbe la nuova città, per la già detta ragione. Negli scritti in latino si trova con varianti: Civitas vetula, Civitas Vecla, Civitas Vegia: l’aver confuso con Urbs vetus (Orvieto) è stata causa di errori negli scrittori di storia cittadina; quantunque non manchi qualche esempio anche di urbs vetus per Civitavecchia”. La stessa fu in parte ricostruita dalle macerie, come il castello fortificato adiacente al porto (castrum). Le nuove mura furono edificate a forma di quadrilatero, in parte tutt’ora visibili, ad opera del Sangallo (inizio XVI secolo) e, successivamente, di altri che si ingegnavano le modalità per ingrandire con un recinto bastionato il vecchio medievale. Un lato, che guarda lo scalo, ancora presente con la sua muraglia merlata, che va dalla vecchia Rocca all’Arsenale, sostenuta nell’interno da archi e pilastri resti del porticato, che un tempo si dispiegavano d’ambo le parti. Da quello opposto, parallelo al poc’anzi descritto, ubicato nella zona più alta, nell’entro terra, sono ancora visibili dei resti attorno a quell’antica porta che, all’occhio dell’osservatore, si presenta bassa, profonda, sormontata da una torricella quadra, indicata comunemente come l’Archetto. A fianco, gli altri due che, scendendo in direzione del mare, chiudevano il quadrilatero detto. L’uno era a levante, nella direzione della strada della Chiesa della Stella; l’altro a ponente, lungo Via Antonio da Sangallo che costeggia l’attuale Piazza Calamatta. Le mura denominate “a coda di merlo” erano frammezzate da torrette, quest’ultime poste sui quattro angoli, vicine a torri maggiori, a base rotonda, ad oggi anch’esse parzialmente visibili, rispettivamente, sulla parte alta della Via poc’anzi citata (alla destra di chi entra in Piazza San Giovanni) ed a sostegno alla sede della vecchia Amministrazione Municipale, presso la porta che mette in comunicazione la città al Porto medesimo (fronte Darsena). Un’ulteriore torre è nei pressi dell’Arsenale suddetto e, per l’uso a cui venne adattata, prese il nome di Scaletta, attualmente non più esistente, per la successiva sistemazione data a quella zona portuale. L’ultima era vicino alla Chiesa già richiamata, attorno cui oggigiorno sorgono moderni edifici e palazzine. All’interno di tale recinto, le abitazioni sorsero sopra le rovine e furono realizzate quattro strade, parallele al Porto e tra loro comunicanti grazie a dei vicoli. Strade che presero il nome di Adriana, Paolina, Tiberiana e Manzi, ma comunemente denominate dal popolo quali Prima, Seconda, Terza e Quarta Strada, col numero progressivo rispetto la loro ubicazione. La Piazza maggiore, nella parte alta, fu chiamata Leandra per rendere tradizionalmente omaggio a Leandro, l’anziano marinaio al quale viene attribuito il merito di aver persuaso l’assemblea di Leopoli a deliberare il ritorno nella vecchia città, avvenuto, secondo la leggenda, il 15 agosto 889, giorno solenne nelle memorie della medesima. Alcune informazioni sono state tratte dall’opera di Carlo Calisse “Storia di Civitavecchia”, Vol. I, Atesa Editrice, Bologna 1983, Cap.I, pp.77-79, Parte II. Foto: fonte http://www.pinoquartullo.it/500/comeponemmolaprimapietra.htm
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